IL GRANDE RESET, LA DEKULAKIZZAZIONE DEL VENTUNESIMO SECOLO

L’attuale visione del mondo globalista delle economie ha diverse analogie con la dekulakizzazione avvenuta in unione sovietica nei primi decenni del secolo scorso ad opera del partito comunista Russo. Diverse sono le analogie, infatti tra la caduta dei Kulak e l’attuale “Grande Reset” che vede la distruzione di una serie di attività economiche, come la vendita al dettaglio, ritenute inefficienti rispetto al moderno e-commerce.

Negli anni ’30, l’Unione Sovietica eseguì la “dekulakizzazione” dell’Ucraina. Questo è il termine dato alla soppressione di agricoltori indipendenti relativamente ricchi (“kulak”), per sostituirli con fattorie collettive. Le loro proprietà furono confiscate, molti di loro furono trasferiti in zone remote e alcuni furono sterminati. Non si conoscono i numeri esatti, ma sono certamente dell’ordine di qualche milione di persone. Il passaggio alle fattorie collettive fu una delle cause della grande carestia ucraina dei primi anni ’30.

Ci sono molte analogie inoltre sulle motivazioni che furono alla base della dekulakizzazione e i motivi di azzeramento delle piccole imprese familiari e dei negozi al dettaglio, che noi definiamo appunto la dekulakizzazione del 21esimo secolo. Negli anni 30 del novecento questi motivi erano legati in gran parte alla convinzione che le imprese su larga scala e pianificate centralmente fossero il modo più efficiente per organizzare la produzione. In secondo luogo, i Kulak (ricordiamolo imprese agricole a conduzione familiare o singola definita ricca dal regime comunista) erano visti come un potenziale nemico per il governo sovietico, e detenevano inoltre una sorte di potere strategico sin quanto strategica era la risorsa che gestivano, vale a dire le risorse alimentari, tanto importanti in un contesto in cui le carestie potevano diventare una efficace arma di guerra.

Ma queste considerazioni non sono sufficienti per spiegare perché i Kulak furono distrutti così senza pietà in pochi anni. Piuttosto, era un semplice gioco di potere: il governo sovietico mirava a controllare tutti i mezzi di produzione dello Stato. Non poteva tollerare che una parte significativa dell’economia, la produzione alimentare in Ucraina, fosse gestita in modo indipendente. Così è intervenuto con tutto il potere che l’apparato statale poteva raccogliere.

La parte più interessante di questa storia è che il ritiro / sterminio non fu soltanto il risultato della potenza militare del governo sovietico. Questo è un primo esempio di una campagna di demonizzazione basata sulla propaganda di successo. I Kulak furono costantemente descritti dai media come “nemici del popolo” inefficaci e inaffidabili. Una volta stabilito che un contadino indipendente era un nemico del popolo, qualsiasi tentativo di difendere i Kulak trasformava automaticamente i loro difensori in nemici del popolo. Un po’ come adesso accade in Europa sulla considerazione di populista e sovranista, termini usati in maniera dispregiativa, nei confronti di coloro che osano difendere le proprie idee che chiedono maggiore sovranità e indipendenza dalle ingerenze estere della propria patria.

Così, i Kulak furono completamente sopraffatti, incapaci di organizzare alcuna resistenza collettiva. Il meglio che potevano fare era resistere passivamente, ad esempio nascondendo il cibo piuttosto che consegnarlo alle autorità sovietiche. Certo, la propaganda ha sfruttato questo per rafforzare il messaggio che erano, in effetti, nemici del popolo. Ecco come funziona la propaganda. Nel secolo scorso come adesso.

A questo punto, come non trovare similitudini tra quello che accadde nel secolo scorso, inteso innanzitutto nella condotta politica della questione kulak con la situazione attuale.

Anche questa volta un intero settore dell’economia (anzi più di uno) viene schiacciato per far posto a diverse entità economiche, spesso estere, ritenute più efficienti nel fornire gli stessi servizi: principalmente adesso riconosciamo in ciò la “new economy” delle imprese, il digitale, la grande distribuzione, la ristorazione e i “big farma”.
Questa diabolica azione rinnovatrice dei governi e delle entità sovranazionali (al soldo delle multinazionali e del silicon Valley e del partito di Davos) è definito “Grande Reset”. Un nome appropriato, quasi scontato se si osserva quanto appunto il partito di Davos sostiene, che facilmente è affiancabile alla dekulakizzazione sovietica del novecento. Corsi e ricorsi della storia.

Infatti, la prima vittima del “Grande Reset” è il commercio al dettaglio. I negozi di famiglia in tutto il mondo vengono trattati come i moderni Kulak, sostituiti da milizie del commercio virtuale sotto la bandiera di Amazon e degli altri e-commerce. Ma prima di questi già il franchising e le grosse catene commerciali della grande distribuzione avevano duramente colpito le piccolo economie familiari.

È inoltre impressionante come quasi nessuna delle vittime abbia potuto opporsi alla distruzione della propria fonte di sostentamento: la piccola impresa, a conduzione familiare, è sopraffatta proprio come i Kulak.

Altre, inoltre saranno a breve giro le ulteriori vittime di questo grande reset. Vittime inaspettate fino a qualche mese fa. Per prima l’Università e scuole saranno vittime designate, sconfitte dalla propria obsolescenza di fronte alla forzata corsa all’e-learning e didattica a distanza. Il trasporto pubblico è diventato praticamente inutile con il trionfo del lavoro virtuale e la paura di salire su un autobus affollato: sarà sostituito da auto intelligenti e dall’utilizzo di software. Il turismo di massa e il trasporto aereo di massa sono già reliquie e ricordo di un passato che sembra ormai lontano. E l’onnipresente controllo di tutto e della vita quotidiana, affiancata dalla sospensione dei normali e minimi diritti garantiti dalla costituzione sta avanzando, con il supporto degli organi di informazione (disinformanti). Oggi, proprio come ai tempi dell’Unione Sovietica, chi controlla il messaggio controlla tutto. Rispetto all’epoca sovietica, lo sforzo di propaganda moderna è simile. La maggior parte della propaganda si basa sulla demonizzazione di qualcuno.

Tutto ciò non significa che il Grande Reset sia stato pianificato in anticipo, né che il virus sia stato fatto apposta. Significa solo che i diversi attori della scena economica hanno visto come potevano ottenere un vantaggio agendo in un certo modo, e lo hanno fatto. Queste grandi organizzazioni non pianificano in anticipo, non hanno un “cervello”, ma – come le amebe – riescono a dirigersi verso il cibo di cui hanno bisogno.
Naturalmente, le società della Silicon Valley del nostro tempo non sono il governo sovietico degli anni 1930. Ma ci sono somiglianze. Le aziende che dominano la gestione delle informazioni sul web operano in gran parte in stile sovietico: sono grandi organizzazioni piramidali, spesso dominate da un leader carismatico (Zuckerberg, Gates, Bezos, Soros ecc.). In termini di dimensioni e stile di pianificazione, non sono diversi dal Commissariato del popolo per l’agricoltura creato nel 1917, l’ente che ha effettuato la dekulakizzazione. E pensano principalmente in termini di equilibrio di potere. Un equilibrio dettato da loro stessi, tanto che non amano e tollerano nessuna concorrenza.
Occorre in questo triste confronto tenere presente una sostanziale differenza, che rende il tutto ancora più drammatico. Vale a dire che affiancamento La differenza è che il commissariato del popolo per l’agricoltura sovietico, faceva parte dello stato, mentre le aziende della Silicon Valley no. Controllano larghe fasce del governo degli Stati Uniti, e di conseguenza europei, ma in generale, sono visti più come signori feudali.

La situazione attuale non è dissimile da quella del re Giovanni d’Inghilterra che firmò la Magna Carta sotto il vincolo dei baroni inglesi. In questo momento, il governo degli Stati Uniti sembra essere sopraffatto dai baroni del web, proprio come lo era il re Giovanni d’Inghilterra. Almeno quando senti che Twitter può cancellare l’account del presidente degli Stati Uniti, allora capisci chi è il capo.

Ed eccoci in una situazione classica della storia: un governo centrale contestato dai signori feudali. Questo è tipico di quando uno stato inizia la sua discesa al collasso, che è ciò che accade con l’Impero d’Occidente. Allora cosa succederà adesso? La storia può servire da guida?

Oltre alla perdita dell’iniziativa individuale essenziale per il progresso, la libertà di intraprendere ed andare oltre quale coronamento di un processo individuale, che sia esso economico o sociale, la creazione voluta di povertà generalizzata e l’impoverimento dilagante che supererà l’intero sistema. Se l’esperienza marxista-leninista ha sofferto nonostante l’amplissima “democratizzazione” della vita sociale che l’ha caratterizzata, cosa accadrà all’esperienza liberale sostenuta e guidata dallo stretto profitto dell’oligarchia e affiancata dall’atomizzazione individualistica che impedisce ogni solidarietà sociale e familiare? È proprio in questo che mi sembra risieda il fallimento del piano di salvataggio del capitale da parte dell’Impero globalista.

L’unica cosa certa è che l’Occidente è in declino. Non c’è molto che si possa fare al riguardo se non lottare, testimoniare, e essere partecipi della voglia di cambiamento e ritorno alle tradizioni sane della nostra società, della nostra Nazione e dell’Europa, non unione europea, ma Europa dei popoli, da Brest a Vladivostok