La gerarchia, ovvero la burocratizzazione del sacro

Dal greco ‘hieros’ (sacro) e ‘arkhê’ (comando) – da cui ‘hierárchês’ (letteralmente: Capo delle funzioni sacre) – la Gerarchia è un ordine naturale e spontaneo, organico e differenziato, centripeto e piramidale. Un ordine politico, sociale, culturale, religioso e morale composto di qualità e di capacità individuali e collettive, nonché di dignità, di competenze e di responsabilità particolari che tende invariabilmente a manifestarsi, costituirsi e concretizzarsi dal basso verso l’alto, prendendo a modello la complessa ed innata armonia della disposizione cosmica.

Agli occhi degli antichi Greci, infatti, il Cosmos (letteralmente: ordine, ornamento, mondo ordinato) era un esempio da imitare. Era l’unico modello che fosse in grado di corrispondere alla complessità della natura umana, nonché di dare una forma organizzativa all’infinita varietà degli uomini con la propria indescrivibile variabilità e mutabilità dei loro imprevedibili ed imponderabili comportamenti.

Il concetto di Gerarchia, dunque – così come gli antichi Greci e Romani lo intendevano e lo praticavano – prendeva direttamente ispirazione dall’ordine cosmico: un Ordine, cioè, senza nessun tipo di allineamento geometrico; dove ogni cosa era al suo posto ed ogni posto alla sua cosa in maniera naturale, e non certo artificiale o imposto da una mano umana o burocrate.

Era inevitabile, quindi, che – nel contesto della Polis o della Civitas – il ruolo di leader, di capo, di responsabile (‘hierárchês’/’praeses’ o ‘antistes’) fosse esclusivamente una funzione che era strettamente legata al settore di attività nel quale il personaggio in questione era in grado di eccellere o di dimostrare la sua particolare preminenza.

Al sorgere di nuovi, eventuali ed imponderabili problemi all’interno della Polis, altri ‘responsabili’ venivano eletti o nominati tra i ‘pares’, per permettere loro – ognuno nel suo campo di pertinenza – di poter tentare di risolvere, con cognizione di causa, quei problemi che meglio di altri potevano essere risolti o eliminati con l’ausilio delle loro singole qualità, competenze e capacità.

Sappiamo che cos’è diventato, nel tempo, il concetto di Gerarchia…

Oggi, la “gerarchia”, nel migliore dei casi, può essere tranquillamente paragonata ad un ordine soggettivo ed arbitrario o ad una specie di ordine spesso mafioso mafioso. Qualcosa, cioè, che viene esclusivamente dall’alto!

Quell’ “ordine”, infatti – come possiamo ampiamente verificarlo in ogni attimo della nostra esistenza – ha invariabilmente tendenza a costituirsi ed a concretizzarsi a partire da un “promotore” o da un “leader” , quasi sempre, auto-designato e spesso a vita, che a sua volta – oltre a ritenersi sfacciatamente un “tuttologo”… – ha addirittura la pretesa di considerarsi al di sopra delle parti!

All’interno di quel simulacro di “ordine”, colui che direttamente o indirettamente riesce ad impadronirsi di un qualsiasi parcella di autorità o di potere o che si è semplicemente “inventato” un simbolo o una sigla, il nome di un movimento, di un’organizzazione o di un partito di una struttura della pubblica amministrazione o delpubblico impiego, tende soggettivamente ed arbitrariamente a monopolizzarlo a suo vantaggio ed a ridistribuirlo parzialmente, proporzionalmente e nepotisticamente, dall’alto verso il basso, ai suoi amici, sostenitori e “compari”, prendendo a modello sicuramente senza saperlo, visto che spesso il livello culturale è minimo o per lo piu scadente, l’innaturale nozione di “gerarchia” che emerge dalla Bibbia (Esodo 18, 18-23) e che può essere senz’altro riassunta nella formula: io sono il Capo; tu, il Vice-Capo; tu, il Sotto-Vice-Capo; tu, l’Aiuto-Sotto-Vice-Capo, ecc.

Conosciamo le caratteristiche essenziali di questo genere di “gerarchia” in quanto la subiamo e la patiamo ogni giorno sulla nostra pelle, e sappiamo perfettamente che la “gerarchia” del nostro tempo, è soprattutto fondata sulla spersonalizzazione individuale, l’appiattimento mentale, sulla logica del conservare il proprio interesse, e sul coltivare il proprio orticello legato alla relazione psico-drammatica e l’assoluta, indefettibile e servile devozione dei diversi e variegati subalterni nei riguardi del “Capo” o di colui che, per primo, si è arrogato il diritto di assegnare o di dispensare le diverse cariche dipendenti, succubi e servili servi del nulla.

Sappiamo ugualmente che l’ “ordine” che ne deriva e che ci opprime, non tiene mai conto delle eventuali qualità, competenze o capacità individuali del “leader” o dei suoi diretti e circostanziati “scagnozzi” a rivestire efficacemente o validamente gli incarichi che ognuno di loro pretende impunemente ostinarsi ad usurpare all’interno dei differenti campi di attività dei movimenti, dei partiti, delle organizzazioni o di qualunque altro ordine societario costituito.

Stando così le cose, dobbiamo ancora meravigliarci o lamentarci di essere individualmente e collettivamente costretti a vivere e ad operare all’interno di strutture societarie che – oltre a non riuscire mai a funzionare come dovrebbero – pretendono assurdamente perpetuarsi e seguitare ad imporre le loro indicibili prevaricazioni, attuando un costante ed insopportabile rovesciamento di principi e di valori naturali?